Pubblico soddisfatto per il Werther alla Fenice di Venezia con Sonia Ganassi e Jean-François Borras
di Salvatore Margarone
Il Werther di J. Massenet è da sempre considerata un’opera titanica del romanticismo. In questi giorni in scena la Gran Teatro La Fenice di Venezia che lo propone nell’allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Bologna con la regia affidata a Rosetta Cucchi, che è improntata verso il senso di famiglia, di casa. Proprio tra le pareti di una casa sono costruite le scenografe di Tiziano Santi per quasi tutta l’opera, come a riprendere quel “focolare” che Werther e Charlotte non sono stati in grado di raggiungere per la mancanza di coraggio: l’una per mantenere la promessa fatta alla madre morente, l’altro per essersi arreso alle circostanze suicidandosi.
Massenet iniziò la stesura dell’opera nel 1885, e solo dopo sette anni andò in scena per la prima rappresentazione a Vienna. Il libretto, a cui iniziò egli stesso a lavorare, sui versi di Eduard Blau, Paul Millet e Georges Hartmann ispirati al romanzo epistolare di Goethe “I dolori del giovane Werther”, sono molto fedeli per certi versi al romanzo goethiano.
Il dissidio interiore di Werther viene messo in scena attraverso escamotage registici che lo vede in alcuni momenti estraneo alla scena reale, quasi del tutto isolato dalla scena enfatizzando così la sua frustrazione ed i suoi pensieri.
Come abbiamo accennato la regia è di Rosetta Cucchi che è risultata funzionale ed essenziale allo stesso momento: incastonata in un tempo indefinito fa da sfondo alla narrazione una casa, che si allontana sempre di più col trascorrere della narrazione stessa, e nella quale si intravedono scene famigliari della vicenda. Werther osserva dall’esterno, e vi entrerà solo quando dovrà intervenire, quasi fosse spettatore di una vita che ha già vissuto.
I costumi, un mix tra fine ottocento per gli uomini e anni 60/70 del nostro secolo per le donne, non trovano una precisa collocazione temporale, ma i colori scelti da Claudia Pernigotti risaltano, spaziando dai colori pastello al bianco e nero. Il tutto accentuato sul palcoscenico da un bel gioco di luci curato da Daniele Naldi.
Sul palcoscenico veneziano nel ruolo del titolo il tenore Jean-François Borras, arrivato in extremis alla prima rappresentazione per sostituire, per una indisposizione, Piero Pretti. Notevole performance quella che ha saputo regalare al pubblico che lo ha giustamente applaudito: la sua voce squillante è risultata omogenea in tutta la sua estensione; è riuscito a trasmettere emotivamente il suo intento interpretativo grazie alla duttilità vocale, sfruttando con maestria i pianissimi molto ben sostenuti ed interpretando con intimismo le sue arie. Sicuro e concentratissimo nell’aria più importante “Pourquoi me réveiller” che ha lasciato estasiato il pubblico presente.
La sua amata Charlotte era interpretata da Sonia Ganassi. Qualche piccola difficoltà iniziale per il bravissimo mezzosoprano che si è ripresa pienamente dopo poco riempiendo il teatro con la sua voce calda e rotonda. La performance raggiunge i vertici più alti nel terzo e quarto atto dove Sonia è decisamente più credibile ed emoziona nei panni della sfortunata donna che rinuncia al suo amore per non venire meno alla promessa fatta alla madre morente di sposare Albert.
L’interpretazione di questo ruolo affidata a Simon Schnorr è risultata purtroppo a tratti sgradevole: la voce non era all’altezza, “spoggiata” e con parecchie stonature.
Molto precisa, invece, Pauline Rouillard nei panni di Sophie. La voce cristallina è sempre ben puntata, ed ha affrontato il personaggio con la spensieratezza giusta, portando sulla scena una ben calibrata giovinetta tutta pepe.
Bene anche per gli altri personaggi: il padre di Charlotte, il borgomastro Le Bailli, interpretato da Armando Gabba, anche se un po’ troppo chiaro nelle parti gravi, si è destreggiato abbastanza bene sul palcoscenico; William Corrò un sicuro Johann, dalla voce ben proiettata; Christian Collia è stato Schmidt, il quale pur con qualche imprecisione e voce non sempre ben calibrata, ne esce a testa alta.
Completano il cast: Salvatore Scribano, Brühlmann; Paola Rossi, Käthchen; Chiara Cattelan, Clara; Marco Cattelan, Fitz; Elisa Casadei, Gretel; Tommaso Dall’Ava, Hans; Umberto Lisiola, Karl; Matteo Credu, Max; e gli Amici Anastasia Bregantin, Alessandra Mauro, Anna Scarpa e Marta Susanetti.
Molto bene il coro di voci bianche Kolbe Children’s Choir diretto da Alessandro Toffolo.
L’Orchestra del Teatro La Fenice è stata diretta dal maestro Guillaume Tourniaire. La lettura che ha dato alla partitura di Massenet è stata di altissimo livello, curando e sviscerando le singole note nello spartito ed infondendo in esse la giusta importanza nell’insieme. Il risultato è stato dunque grandioso, sfavillanti i colori orchestrali e precisissimi i professori d’orchestra. Bellissima esecuzione.
Pubblico più che soddisfatto quindi per questa seconda recita di Werther, che ricordiamo era assente dai cartelloni del teatro veneziano da ben ventun’anni, e che è ritornato in tutto il suo emozionante splendore.
La recensione si riferisce alla recita del 27 gennaio 2019.
Photo©MicgeleCrosera